La Sicilia è sempre stata una terra connotata dalla coniunctio oppositorum, una terra dove persiste un costante bilanciamento di forze e dinamismi opposti, dal campo urbanistico (città in cui impareggiabili opere d’arte condividono lo spazio con case diroccate e tetti in eternit) a quello letterario, da quello musicale a quello politico.

Quest’ultimo campo è quello che voglio mettere al centro di una compiuta riflessione.

Da quando nel 1130 Ruggero d’Altavilla proclamò il Regno di Sicilia, con l’unificazione della Contea di Sicilia con il Ducato di Puglia, affidando il governo del Regno ad un parlamento e dando vita così al primo stato moderno europeo, fino ad oggi, tanto tempo è passato e la capacità innovativa della Sicilia è rimasta invariata.

Capacità di innovare che con Ruggero d’Altavilla e Federico II di Svevia ha costituito, per tutto il mondo, un modello da imitare.

In tempi più recenti, la politica siciliana è stata spesso laboratorio di alchimie politiche che hanno anticipato dinamiche nazionali, basti pensare alla introduzione fin dal 1988 di una forma embrionale di “reddito di cittadinanza”, sottoforma di lavoro precario a supporto degli uffici comunali (che ha mortificato un’intera generazione di giovani studenti-lavoratori) o alla affermazione elettorale del Movimento cinque stelle alle elezioni regionali del 2012, che riuscì ad ottenere il 18,17% delle preferenze per il proprio candidato presidente, quando nel resto d’Italia, lo stesso partito aveva ricevuto consensi molto inferiori (Molise 2011, 5,6%; Campania 2010, 1,35%); percentuale non replicata nemmeno successivamente in altre parti d’Italia (Basilicata 2013, 13,19%; Lazio 2013, 16,64%; Lombardia 2013, 14,33%).

L’affermazione elettorale alle regionali del 2012 ha sancito però la crescita tendenziale del Movimento cinque stelle, che è stata definitamente affermata, arrivando all’acme, nelle elezioni politiche del 2018, nelle quali il movimento ha raggiunto il 48,15% delle preferenze nella quota proporzionale per la Regione Siciliana, contro il 10,58% del Partito Democratico.

Le elezioni politiche del 2018 in Sicilia, con la debacle del PD, hanno reso evidente l’incapacità dei partiti di sinistra e centro-sinistra di rappresentare quella rilevante fetta di elettorato che storicamente rappresentavano.

Per contrastare questa tendenza, per cercare di nuovo un posto al sole, per assicurarsi un futuro politico, l’On.le  (Giovanni Giuseppe) Claudio Fava, già segretario siciliano dei DS ed europarlamentare, oggi deputato dell’Assemblea Regionale Siciliana, eletto con la lista “Cento Passi per la Sicilia – Claudio Fava Presidente”, ha presentato all’assemblea legislativa più antica d’Europa il disegno di Legge n.16/2018, rubricato: “Obbligo dichiarativo dei deputati dell’Assemblea regionale siciliana, dei componenti della Giunta regionale e degli amministratori locali in tema di affiliazione a logge massoniche o similari”.

Tale disegno di legge, approvato il 4 ottobre 2018, entrato in vigore ieri, con la pubblicazione sulla Gazzetta Ufficiale della Regione Siciliana (Anno 72, nu.45, venerdì 19 ottobre 2018), impone ai deputati regionali, al Presidente della Regione e ai componenti della Giunta regionale (che siano deputati), nonché ai sindaci, agli assessori comunali ed ai consiglieri comunali e circoscrizionali di dichiarare, anche negativamente, l’eventuale appartenenza “a qualunque titolo ad associazioni massoniche o similari che creino vincoli gerarchici, solidari-stici e di obbedienza, qualora tale condizione sussista, precisandone la denominazione”.

La mancata dichiarazione, da parte dei soggetti passivi indicati nella legge, entro i quarantacinque giorni dall’entrata in vigore della medesima, comporterà la pubblicazione del nominativo nei siti web dell’Assemblea Regionale Siciliana, della Regione e dei comuni interessati.

L’effetto sanzionatorio della legge è il prevedibile, forse anche subdolamente incentivato, effetto gogna mediatica. Ciò, a prescindere dal fatto che la mancata dichiarazione possa essere causata dalla volontà di non dichiarare l’appartenenza alla massoneria, ovvero da altre motivazioni.

L’iter di approvazione di tale Legge è stato seguito con grande attenzione da parte dei media regionali e nazionali. Ne è scaturito un acceso dibattito parlamentare, alimentato dal m5s siciliano, da subito favorevole alla proposta di legge Fava, seguito passo passo dai media.

Il PD siciliano, dopo un’iniziale titubanza sulla legittimità del disegno di legge, si è dichiarato favorevole, mentre i partiti della coalizione di centro-destra, soprattutto UDC, Forza Italia e Fratelli d’Italia, hanno cercato di mantenere una posizione più scettica e razionale. La pressione mediatica è salita però, così i parlamentari regionali del centro-destra hanno ritenuto conveniente abbandonare la giusta posizione di garanzia precedentemente assunta, per aderire alla tendenza giacobina e forcaiola che aveva pervaso l’aula del parlamento più antico d’Europa (lo ripeto).

Due sole sono state le pregevoli eccezioni, i voti contrari dell’On. Eleonora Lo Curto (udc) e del l’On. Antonio Catalfamo (Fratelli d’Italia), ai quali va il plauso di avere avuto il coraggio di opporsi alla irrazionale valanga demagogica bipartisan, che ha investito l’Aula e di avere affermato un superiore principio costituzionale.

L’On.le Claudio Fava, in merito all’approvazione del suo disegno di legge, ha dichiarato che “Nonostante le fortissime pressioni in senso contrario, abbiamo affermato un dovere di trasparenza e di responsabilità che adesso andrebbe esteso a tutte le cariche elettive in Italia“, ottenendo un’eco mediatica ed una visibilità che vanno ben oltre i confini di applicazione regionale della “sua” legge, accendendo una luce sulla strada dell’oblio, sulla quale sembrava incamminati.

Era forse proprio questo l’effetto ricercato?

Questa legge, però, è non solo eticamente scorretta ma prescrive una forma di discriminazione “legale”, ampiamente incostituzionale, che verrà certamente censurata dai giudici di Palazzo della Consulta, prima ancora che dalla Corte Europea dei Diritti dell’Uomo.

In che cosa consiste la discriminazione di questa norma?

L’articolo 18 della Costituzione italiana prescrive che “I cittadini hanno diritto di associarsi liberamente, senza autorizzazione, per fini che non sono vietati ai singoli dalla legge penale. Sono proibite le associazioni segrete e quelle che perseguono, anche indirettamente, scopi politici mediante organizzazioni di carattere militare“.

Per “associazioni segrete” si intendono quelle che, anche all’interno di associazioni palesi, nascondono la loro esistenza o mantenendo segreti i loro scopi e le loro attività sociali o nascondendo, in toto o in parte e anche reciprocamente, l’identità dei soci.

Non molti sanno che il testo originario dell’art.18 prevedeva, dopo “senza autorizzazione” l’aggettivo “preventiva”. Tale aggettivo fu fortemente censurato dall’On. Roberto Lucifero d’Aprigliano (monarchico e liberale) che propose di sopprimerlo, giudicandolo limitativo, poiché poteva fare pensare che il legislatore, pur non potendo imporre autorizzazioni preventive, ne potesse tuttavia imporre di successive alla costituzione della associazione. Le pregnanti osservazioni dell’On. Lucifero convinsero anche i relatori della precedente stesura dell’articolo 18 (Basso e La Pira). In materia di diritto di associazione, del resto, l’On. Mancini aveva affermato in seno ai lavori della costituente che “Il concetto di libertà è il concetto informatore di tutta la nostra Costituzione”.

Questo concetto, sacro nei valori della nostra Costituzione, oggi viene continuamente compresso, fino al suo completo stravolgimento. Tanto nella politica governativa, quanto in quella regionale, in terra di Sicilia.

La Sicilia, oggi, si permette il lusso di innovare, di cambiare, ancor più di quanto stia facendo il governo del cambiamento, a livello centrale. La direzione è comunque la medesima: quella del cambiamento in peggio!

L’obbligo di dichiarazione di appartenenza alla massoneria o ad altre associazioni similari è un obbligo aberrante e discriminatorio, non perché si rivolge ad una associazione con alle spalle più di tre secoli di storia liberale e democratica, non perché la medesima vanti componenti che hanno contribuito a scrivere la storia del risorgimento italiano, quella della nascita della repubblica e della medesima Costituzione italiana; è aberrante perché un obbligo dichiarativo “di iscrizione o appartenenza” a qualsiasi associazione, suona come un pericoloso preconcetto. Sarebbe discriminatorio, allo stesso modo, se il nuovo obbligo normativo riguardasse l’associazione Cattolica, l’associazione Musulmani Italiani, l’Opus Dei, Comunione e Liberazione e qualsiasi altra libera associazione, che rientri nell’alveo dell’art. 18 della Costituzione.

Vi sono già precedenti giurisprudenziali che hanno visto soccombere lo stato italiano per leggi regionali della medesima portata di quella vigente in Sicilia dal 19 ottobre 2018; sono quelli della legge regionale delle Marche, censurata con una sentenza CEDU del 2001 (procedimento n.35972/1997) e della legge regionale del Friuli Venezia Giulia, censurata con sentenza CEDU del 2007 (procedimento n.26740/2002).

Entrambe le suddette leggi imponevano l’obbligo di dichiarazione dell’appartenenza alla massoneria o associazioni similari.

Una norma che sancisce un siffatto obbligo, si pone in esplicito contrasto con l’art.18 della Costituzione ma viola anche gli artt. 11 (Libertà di riunione e associazione) e 14 (Divieto di discriminazione) della Convenzione Europea dei Diritti dell’Uomo.

La discriminazione sta, per l’appunto, nel prevedere un regime speciale di trattamento per una particolare associazione, in mancanza di qualsiasi giustificabile specialità sostanziale di quella tipologia di associazione.

Un tale obbligo cementerebbe nel pubblico l’idea che l’adesione alla Massoneria sia illegale o possa avere un impatto negativo sulla propria carriera. Inoltre, alcuni associati potrebbero essere indotti a porre fine al loro legame con la Massoneria per essere in grado di competere con altri non associati in vista di un incarico professionale di qualsiasi natura, per candidarsi per posizioni amministrative regionali o nazionali o, infine, per evitare di rimanere indietro o di essere discriminati, a prescindere dalle qualità personali o professionali.

Si imporrebbe, così, uno stigma “legale” nei confronti di qualsiasi soggetto iscritto liberamente alla Massoneria, senza che ve ne sia alcuna giustificazione da un punto di vista giuridico e costituzionale.

Inoltre, tanti dimenticano il contenuto del’art.54 della Costituzione “Tutti i cittadini hanno il dovere di essere fedeli alla Repubblica e di osservarne la Costituzione e le leggi” ma soprattutto dimenticano la poderosa genesi di quella norma costituzionale.

L’art.21 della Costituzione francese del 1946, che ha influenzato la genesi dell’art.54 della nostra Costituzione, stabilisce: ”Qualora il governo violi la libertà ed i diritti garantiti dalla costituzione, la resistenza, sotto ogni forma, è il più sacro dei diritti ed il più imperioso dei doveri”.

Gli Onorevoli Dossetti (democristiano) e Cevolotto (democrazia del lavoro), in seno all’Assemblea Costituente, avevano proposto il seguente testo per l’art.50 della Costituzione (oggi art.54): “Quando i pubblici poteri violino le libertà fondamentali ed i diritti garantiti dalla costituzione, la resistenza all’oppressione è diritto e dovere del cittadino”.

Nonostante i lavori dell’Assemblea costituente abbiano portato alla approvazione del vigente testo dell’art.54, secondo autorevoli costituzionalisti, anche se non è espressamente stabilito dalla nostra Carta Costituzionale, il diritto di resistenza all’oppressione è implicitamente legittimato, essendo una delle garanzie di difesa della Costituzione, in caso di violazione dei principi fondamentali in essa stabiliti. Del resto anche l’On. Mortati (democristiano), nella sua dichiarazione di voto affermò: “Non è al principio che ci opponiamo, ma all’inserzione nella Costituzione di esso, e ciò perché a nostro avviso il principio stesso riveste carattere metagiuridico e mancano nel congegno costituzionale i mezzi e le possibilità di accertare quando il cittadino eserciti una legittima ribellione al diritto e quando invece questa sia da ritenere illegittima”.

Nel nostro Ordinamento Giuridico, comunque, ci sono varie norme che stabiliscono la legittimità della resistenza individuale di fronte al provvedimento sostanzialmente illegittimo anche se formalmente legittimo dell’Autorità, piuttosto che al comportamento arbitrario di un pubblico funzionario. È opportuno ricordare l’art. 4 del D.lgs n.288 del 14.9.1944, che legittima la resistenza attiva ad un pubblico ufficiale o ad un corpo politico, amministrativo o giudiziario, qualora queste funzioni pubbliche siano esercitate in modo arbitrario. Ricordiamo anche l’art.51 del Codice penale che esclude la punibilità dei fatti compiuti nell’“esercizio di un dovere” o nell’“adempimento di un dovere, imposto da una norma giuridica o da un ordine legittimo della pubblica Autorità” e l’art.650 del Codice Penale, che legittima la disobbedienza contro provvedimenti non “legalmente dati” dall’Autorità, cioè emanati arbitrariamente e quindi illegittimi.

La resistenza collettiva si esercita attraverso l’esercizio dei diritti di libertà, previsti e tutelati espressamente dalla nostra Costituzione, come il diritto di manifestazione del pensiero (art.21) ed il diritto di sciopero (art.40) , oltreché con il diritto di critica e azione politica.

Detto ciò, è utile evidenziare che il dovere di fedeltà alla Repubblica, previsto dall’art.54, non è confondibile con quello di obbedienza alle leggi. Sono due concetti assolutamente diversi: la fedeltà alla Repubblica precede, logicamente, concettualmente e da un punto di vista etico-valoriale, l’osservanza delle leggi dello Stato.

Pertanto, il dovere di fedeltà alla Repubblica e quindi alla Costituzione ed in particolare ai principi fondamentali in essa stabiliti, prevale sul dovere di obbedienza alle leggi, in caso di contrasto delle leggi in vigore con i principi fondamentali dell’Ordinamento Costituzionale.

Ciò premesso, rivolgo un accorato appello a tutti i sindaci, amministratori locali e regionali, deputati regionali, consiglieri comunali e circoscrizionali, soprattutto a quelli che non appartengono alla Massoneria, affinché si facciano resistenti, nei termini sopra esposti, rispetto ad una norma di legge regionale che si trova in palese contraddizione con i superiori principi e valori costituzionali della Repubblica Italiana.

La “sanzione” che questi resistenti dovranno sopportare sarà la pubblicazione del proprio nominativo, sui siti istituzionali, per avere, per l’appunto omesso la dichiarazione prevista dall’art. 1 della Legge Regionale siciliana 12 ottobre 2018, n.18. Una pubblicazione che, agli occhi di chi scrive, si evidenzia come nota di merito e adesione ai principi più alti della nostra Repubblica.

L’iscrizione nella lista dei “resistenti” sarà ascritta a merito di chi, con la propria coscienza, saprà arginare la demagogia ed il populismo imperanti, nella consapevolezza che un principio di libertà è valido tanto quando riguarda la propria persona, tanto quando riguarda il proprio avversario.

Il pastore Martin Niemöller, oppositore del nazismo, nel suo più celebre sermone, diceva: “prima di tutto vennero a prendere gli zingari, e fui contento, perché rubacchiavano. Poi vennero a prendere gli ebrei, e stetti zitto, perché mi stavano antipatici. Poi vennero a prendere gli omosessuali, e fui sollevato, perché mi erano fastidiosi. Poi vennero a prendere i comunisti, e io non dissi niente, perché non ero comunista. Un giorno vennero a prendere me, e non c’era rimasto nessuno a protestare”.

A tutti i rappresentati eletti del popolo, destinatari della Legge Regionale n.18/2018, chiedo di avere il coraggio di fare la cosa giusta, affinché un giorno, non si possano dolere di non avere nessuno che protesti per loro.

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